Caro diario,

sono abituato ai tempi difficili, li vivo da quando sono nato, pur non avendone sempre avuto la consapevolezza, ma oggi ne sento il peso e non solo su di me, ma anche su chi nella tempesta ha rappresentato il mio faro, la mia luce che io stesso ho bistrattato, denigrato. Lo slogan della TV, dei Social è IO RESTO A CASA. Quale casa? Quella da cui sono stato allontanato o quella che mi ha accolto facendomi sperimentare il senso profondo della famiglia, le regole. Ebbene sì, le regole, quelle che spesso mi fanno paragonare l’appartamento ad un carcere, gli educatori agli “sbirri”, quelle stesse regole che in questo periodo salvaguardano me, i miei affetti e invece mettono a rischio la salute, di chi con professionalità è stato chiamato a prendersi cura di me e dei miei compagni, mettendo in discussione le proprie famiglie e la propria vita.

Caro diario, ti scrivo perché questa prigione oggi più che mai è diventata dorata. È vero, il tempo non passa mai, mi manca abbracciare papà, i miei fratelli, devo accontentarmi di una videochiamata. Ma mi manca anche la scuola, la tanto odiata scuola, mi mancano i suoi tempi, i rimproveri dei docenti e i compagni di classe. Non possono bastare lezioni online, chat, piattaforme, non è la mia vita, non ne sento il calore, non percepisco gli odori, non vivo l’ebbrezza di una fuga dal controllore di un bus …. La vita così è povera di emozioni. Eppure il telefono, il Pc sono diventati un prolungamento di noi stessi, tanto che gli educatori faticano a staccarci quando si inventano l’ennesima “diavoleria” per farci trascorrere l’isolamento in leggerezza: al via corsi di cucina, tornei di playstation, percorsi di cineforum tematici, creazioni pasquali, tutto per far scorrere la lancetta più velocemente possibile e per alleggerire il nostro carico. Ma, caro diario, chi lo dice all’educatore che il carico è più pesante del previsto e che lui, nonostante i suoi sorrisi, ne porta il peso il maggiore? Io non ne ho il coraggio, posso solo evitargli problemi e fargli comprendere che sono consapevole di quello che accade lì fuori e che la mia prigione è diventata la mia salvezza. Io resto in comunità, io resto a casa, la mia casa più sicura.