Si è tanto discusso, nell’ultimo anno, di quanto la pandemia abbia creato diseguaglianza e sofferenza, ma soprattutto di come abbia generato o evidenziato nuove povertà. Si è sempre indirizzati a considerare povertà solo quella più visibile, più tangibile, quella estrema e quella forse più conosciuta, quella per cui serve impegnarsi a trovare un tetto e da mangiare per persone che non ne hanno più la possibilità. In questo quadro si inseriscono una serie di realtà di Fondazione Città Solidale, in primis le strutture storiche di accoglienza per adulti Aliante e Tenda di Mamre, che, a lunga o breve permanenza, aprono le porte a uomini e donne che necessitano di un punto di ripartenza, del calore di una casa, della sicurezza di un pasto caldo. Ad esse va associata la risposta più evoluta dell’Oasi di Misericordia, dormitorio notturno, nato nell’anno del Giubileo, che Fondazione ha saputo rivalorizzare per il momento storico. Allo scattare del lockdown, due sono state le esigenze principali che Città Solidale ha affrontato: mettere in sicurezza le persone presenti stabilmente nel servizio o che facevano accesso allo stesso, fornendo loro i dispositivi di protezione necessari (DPI) e assicurare il servizio con modalità operative inedite. Nello specifico con fondi messi a disposizione dal nostro ente, per due mesi, abbiamo reso residenziale il dormitorio notturno, questo ha significato trasformarlo in “casa”, ossia rimodulare gli spazi e garantirne una fruibilità qualitativamente diversa. Inoltre, gli operatori hanno iniziato ad informare, sensibilizzare, orientare le persone su quanto stava accadendo, cercando di far accettare loro un cambiamento nelle abitudini che inevitabilmente ne sarebbe seguito. Questo è stato reso possibile anche durante la distribuzione dei pasti con il servizio di mensa itinerante, che ha purtroppo visto un incremento di richieste e l’inserimento dell’attività di consegna a domicilio.

A dare risposta sempre alle persone, ai nuclei familiari che stanno attraversando un momento di difficoltà, sono stati inaugurati da un paio di mesi i Centri di Ascolto, uno in città e l’altro nella zona marinara. Uno spazio di ascolto per far acquisire consapevolezza della propria situazione, ritrovare fiducia e stabilire nuove relazioni costruttive.

Secondo l’antropologo Arjun Appadurai la povertà estrema è quella in cui viene uccisa anche la capacità di aspirare, di immaginare di poter cambiare la propria condizione. È una questione di risorse materiali, ma anche di controllo sul proprio orizzonte di vita, sullo stesso senso di dignità e valore personale. In questo senso la povertà è una forma specifica di disuguaglianza, in quanto non riguarda solo gradi di distanza tra gruppi o individui nella disponibilità di risorse, ma una condizione di insufficienza.

È da tenere in considerazione, inoltre, come questa diseguaglianza si intrecci con altre…quella legata all’appartenenza etnica, alla diversità di genere, ad una condizione psifico-fisica specifica. Quindi una povertà non solo materiale ma intensa come carenza di opportunità, siano esse formative, sociali, culturali…ed è in questa ottica che i nostri servizi, durante il periodo della pandemia, hanno ancor di più fatto emergere il loro operato, rendendolo unico ed indispensabile a 360°.

Nulla è andato perso, tanto si è mantenuto ma molto si è trasformato. Le strutture educative per minori, in particolare la Comunità San Domenico, il Sunrise e l’Ulivo hanno pensato alla tutela dei ragazzi e delle ragazze ma hanno dovuto strutturare all’interno del contesto accogliente, per mantenere fede a quel famoso “IO RESTO A CASA”, una serie di attività per fornire risposte alla povertà di opportunità socializzanti ed educative che vengono garantite da rapporti di collaborazione con il territorio.

A noi piace raccontarci così, con quanto di buono abbiamo provato a mettere in campo ma ciò non significa che non ci siano state difficoltà. In primis la carenza di finanziamenti economici. Tante iniziative di fatto sono state portate avanti con risorse economiche ed umane interne a Città Solidale. Altra criticità emersa è stata la difficoltà di effettuare tamponi immediati per poter procedere all’accoglienza delle persone senza fissa dimora e non è neanche un dato da sottovalutare il fatto che ad oggi il personale dei servizi socio educativi, resi ancor più indispensabili dalla pandemia, non sia rientrato tra quelli in priorità da vaccinare.

Chi sceglie di fare un lavoro in questo settore, non si aspetta in cambio gratitudine perché conosce bene la sua missione nel mondo e si affida a Dio per trovare la forza di portarla avanti.  Ed è con questa convinzione che abbiamo lavorato e continuiamo a farlo abbattendo i muri della paura nel massimo interesse e valore dell’essere umano.