Ogni giorno ci capita di leggere ed ascoltare sui social, in tv, sui giornali, storie di “nuova ordinaria povertà”, storie che nascono dalla profonda crisi economica e sociale che ha colpito al cuore l’Italia negli ultimi anni. L’emergenza legata alla diffusione del COVID-19, oltre che sanitaria, sta diventando sempre più sociale. Colpisce soprattutto chi già viveva situazioni di difficoltà o di fragilità, creando nuove situazioni di povertà e, chi come noi lavora in strutture di bassa soglia, si ritrova ad incontrare persone che all’improvviso bussano alle porte delle nostre strutture e lasciano in ognuno di noi ricordi indelebili.

La storia di Giuseppe è una di queste storie. Siamo ai primi di maggio e ci chiamano dalla Questura per un’accoglienza. Stiamo per uscire da due mesi di duro lock-down, mesi in cui abbiamo dovuto seguire scrupolosamente il protocollo prima dell’accoglienza, per evitare il contagio da coronavirus. L’agente ci dice: “si tratta di una persona anziana che girovaga per la città di Catanzaro”. Spieghiamo all’agente di polizia che possiamo accoglierlo nella nostra Oasi di Misericordia (che dall’inizio della pandemia si è trasformata in struttura residenziale), proprio per dare un luogo sicuro ai poveri della città, ma che le procedure di accoglienza sono diventate più rigide, ed occorre dunque che le persone accolte arrivino munite dell’esame negativo del tampone oro faringeo.

Aspettiamo per molte ore l’arrivo del nuovo ospite. Sono quasi le 20.00 quando bussa alla porta un signore minuto, con la mascherina e la sua valigetta. Un piccolo uomo di più di 80 anni che si presenta così: “Buona sera sono Giuseppe, ho fatto tardi perché c’è voluto tanto tempo per fare il tampone”. Il signor Giuseppe, ex ferroviere, vedovo e pensionato, è di Corigliano e non ha più rapporti con i suoi figli, è scappato da una RSA perché – a suo dire – non lo trattavano bene. Gli spieghiamo che da noi il tempo di accoglienza è limitato, che le nostre strutture sono case di pronta accoglienza e che dovremo, insieme ai servizi sociali, trovare una struttura idonea alle sue necessità. Giuseppe è rimasto con noi fino ad agosto ed è subito diventato la nostra mascotte, il nonno di tutti noi, colui che ha gestito, insiemi agli altri ospiti, l’orto, un fazzoletto di terra. Quanta soddisfazione esprimeva il suo volto quando la mattina presto usciva per portarci i fiori di zucca e i pomodori, quanti racconti hanno deliziato le serate estive in giardino. Giuseppe è una persona che ha scelto di non essere istituzionalizzato, che non vuole trascorrere gli ultimi anni di vita in una struttura residenziale per anziani, ma vuole sentirsi ancora utile.

Quando è giunto il momento di andare via ci ha detto: “Qui ho trovato una seconda casa, mi avete voluto bene per ciò che sono, mi avete saputo ascoltare, grazie”. Un paio di mesi dopo abbiamo saputo che era fuggito ancora dalla RSA e che viveva nel suo motocarro tra Roccelletta e Catanzaro lido, ma a coloro che si erano accorti di lui aveva detto che preferiva vivere così, con la sua pensione ma libero. Questa mattina, uscendo da un bar di Catanzaro lido, Giuseppe ha accusato un malore ed è morto. È morto solo ma ha vissuto come voleva lui: libero.